venerdì 9 settembre 2011

Perù-Cordiliera Blanca-Esfinge 5325m- Via del 85 -800 m 7a (6b/A1 obb.)

Agosto 2011

L’Esfinge è una montagna della Cordillera Blanca alta 5325 metri, e si trova nel dipartimento di Ancash, nel nord del Perù. Questa montagna -obbiettivo del nostro viaggio- al contrario delle montagne innevate che la circondano, si presenta come un imponente pilastro granitico e, pur non essendone una delle cime maggiori, è molto famosa tra gli scalatori di tutto il mondo per la sua celebre parete est, un muro roccioso la cui altezza varia tra i 750 ed i 900 metri, obbiettivo del nostro viaggio è stato quello di salire lungo questa parete….ma il viaggio per me Traky e Alessandro inizia molto prima…..

Mercoledì 17 agosto arriviamo a Lima dopo un viaggio abbastanza estenuante. Ci lasciamo alle spalle la solita routine quotidiana: il lavoro, gli impegni e tutti i problemi. All’aeroporto diventiamo subito preda di tassisti e venditori di fumo. Lima ci accoglie con il suo traffico caotico e con il suo cielo perennemente grigio, merita però spendere qualche parola su questa città che, nonostante sia stata definita da Herman Melville, scrittore statunitense del 1800, “la città più triste della terra”, è in grado di riservare molte piacevoli sorprese, il suo disordine, le sue contraddizioni e i suoi colori cupi hanno un qualcosa di poetico, alcuni angoli della città rievocano atmosfere di tempi passati che stridono fortemente con i nuovi quartieri “occidentali” vittime di uno sviluppo non proprio.

Lasciamo Lima con un autobus di linea, direzione Huaraz. Uscendo dalla città, attraversiamo prima le infinite bidonvilles che caratterizzano la sua periferia per poi costeggiare il Pacifico nella sua ovattata veste invernale; il paesaggio si presenta come un immenso deserto sabbioso, con enormi dune alte anche centinaia di metri, senza alcun segno di vita. Proseguendo nell’entroterra, il deserto, da sabbioso, diventa roccioso con innumerevoli cactus e fichi d’India. Salendo via via di quota la vegetazione occupa il posto del deserto, agavi e piante di eucalipto ci accompagnano sino ad oltre 3500 metri, più in alto predominano brulli pascoli.
Superato un passo a 4100 metri, dove troviamo un pulman ribaltato, la strada scende dolcemente verso Huaraz che raggiungiamo nel tardo pomeriggio.

Huaraz, la Chamonix delle Ande, è una città assai vivace e lungo la sua strada principale i campesinos espongono in vendita grandi quantità di frutta, verdura, capi di lana, e cibo di strada. Le donne locali che espongono in vendita la merce indossano vestiti tipici molto appariscenti, dalle tinte forti e vivaci che il sole dei 3000 metri ravviva ulteriormente. Un’altra merce molto venduta nei mercatini sono le foglie di coca, che i peruviani usano consumare in grandi quantità masticandole o preparando il famoso mate di coca lasciando le foglie in infusione in acqua bollente. Le foglie di coca, anche se sono la materia prima per la produzione di droga, usate al naturale, senza essere trattate, non costituiscono uno stupefacente, ma producono semplicemente un effetto leggermente eccitante, sicuramente minore del caffè, e pare alleggeriscano la fatica alle alte quote…pare.

Dedichiamo alcuni giorni alla visita di Huaraz e dei suoi dintorni visitando anche le sue aree agricole periferiche scoprendo scene di vita agricola di altri tempi. La gente è qui molto cordiale e i bambini sorridenti, conducono vite semplici a stretto contatto con la natura e con le stagioni.

Trascorsi tre giorni dal nostro arrivo a Huaraz decidiamo di trascorrere una giornata, al fine di acclimatarci, nella falesia in quota di Hatun Machay, in Cordillera Negra, l’area si trova ad una quota di 4200 metri su un’altipiano caratterizzato da brulli pascoli, abitato da pochi pastori che vivono in capanne di paglia e fango nascoste tra le roccie pascolando i loro greggi di pecore. I colori scuri della roccia creano un effetto cromatico surreale con il blu del cielo e il giallo dei pascoli che la circondano; l’arrampicata è spettacolare e varia, placche appoggiate e lunghi strapiombi verticali.

La sera, dopo un’intera giornata di scalata siamo nuovamente a Huaraz.

Oggi prepariamo le ultime provviste e ingaggiamo quattro portatori per aiutarci a portare il materiale fino al campo base. Il giorno seguente alle ore 8.00 l’autista e i portatori sono puntuali sotto il nostro “albergo”; dopo un viaggio di circa 4 ore su strade tortuose facciamo il nostro trionfale (si fa per dire) ingresso nel Vallone di Paron a bordo di una sgangherata furgoneta, che ci deposita all’inizio della spettacolare laguna Paron a 4100 metri, punto di partenza per raggiungere il campo base della montagna che ci siamo prefissati di scalare: l’Esfinge 5325 m.

Alla Laguna mangiamo qualcosa con i portatori, poi si parte “ora si che l’avventura ha inizio” penso tra me e me. Il sentiero, dopo un lungo traverso pianeggiante, si fa via via più ripido, la voglia di vedere la montagna è però il miglior anestetico al peso degli zaini e alla fatica della quota. Dopo un paio d’ore montiamo il campo base su un balcone naturale a 4500 metri di quota, questa sarà la nostra casa per una decina di giorni, davanti a noi l’Esfinge che, con i suoi quasi mille metri di parete, incombe sopra le nostre teste, sul fondovalle il Pisco e la Piramide, di fronte la severa parte sud degli Huandoy. E’ già metà pomeriggio, salutiamo gli amici portatori che rientrano a valle, ora siamo veramente soli. Il primo giorno lo dedichiamo a portare materiale sotto la parete, il terzo giorno tentiamo subito la prima via obbiettivo del viaggio Papas Rallenas, inizia Traky con decisione salendo i primi due tiri della via, è ora il mio turno, salgo in artificiale su questo tiro di A3, piazzo una lunga serie di peakers (chiodini simili a francobolli) alcuni clif e qualche nut. Sono circa a metà tiro, quando l’ultima protezione messa si toglie, chiudo gli occhi e aspetto l’impatto, senza neanche accorgermene, mi ritrovo su una spiovente 10 metri più in basso, con un po’ di paura e una piccola contusione che darà fastidio per il resto dei giorni. Dopo il piccolo incidente per questioni di tempo decidiamo di cambiare via, il giorno seguente alle 4.00 la sveglia ci fa alzare in piedi, fuori la temperatura è alcuni gradi sotto lo zero, in un paio d’ore siamo nuovamente sotto la parete determinati a salire la via dell’85’, 850 metri con difficoltà massime di 7a e 6b/A1 obbligatorio. La sera prima ha nevicato ma la poca neve accumulata sulle cengie non ci crea problemi, Traky attacca la via ad una velocità supersonica, mentre io e Ale arranchiamo sotto il peso dei pesanti zaini indispensabili però al bivacco, nel primo pomeriggio siamo alla cengia des flores, spesso utilizzata come zona per il bivacco, ma le ore di luce sono ancora molte e decidiamo quindi di proseguire, parto io, dopo aver affrontato un bellissimo diedro fessurato saliamo diversi tiri, per renderci poi conto solo all’imbrunire di esser fuori via, sopraffatti dalle tenebre tiriamo fuori i sacchi a pelo e ci prepariamo per il bivacco, mangiamo velocemente qualcosa, un ultimo scambio di battute e con la frase spontanea di Traky “che passione del cazzo” ci diamo la buona notte. Il posto non è proprio comodo, ma la stanchezza a un certo punto ha il soppravvento sulla scomodità e ci lasciamo cullare in un sonno intermittente ma riposante. Sappiamo tutti e tre il gran privilegio che ci stiamo concedendo: un bivacco a 5000 metri, sospesi sull'abisso è un'esperienza unica, vedere calare e sorgere il sole a quell'altezza è un’qualcosa di incredibile, direi quasi un'esperienza da consigliare. Il giorno seguente ripartiamo, decidiamo di non seguire più la relazione e di affidarci all’istinto, decisione saggia, mancano ancora molti tiri, l’arrampicata sopra i 5.000 metri è faticosissima e la paura di non farcela è sempre in agguato, tanto più che non siamo sicuri di essere sulla via giusta, qui non è come sulle nostre Alpi, non è come scalare una via al Bianco, qui non possiamo fare affidamento sull’elicottero come fonte di salvezza, il risultato dell’azione rimane incerto fino all’ultimo, tutto è da vivere e da giocare, qui l’avventura è ancora totale e le emozioni sono amplificate. L’arrampicata è bellissima anche se l’estetica del gesto l’abbiamo messa da parte qualche tiro più in basso, Traky mi da un breve cambio per riprendere energia soprattutto a livello mentale, riparto e dopo qualche difficoltà nel trovare il punto di uscita della parete trovo finalmente una serie di fessure che ci portano in alto, incastro la mano, sento la punta vicina, Traky ed Ale da sotto mi chiedono informazioni, continuo a scalare, siamo ormai vicini, anche la fatica sembra attenuarsi, è un piacere scalare quest’ultima fessura, le mani che con ritmo si incastrano , friend a protezione nei punti giusti, la fessura è finita, davanti a me l’intera Valle del Callejón de Huaylas, resto qualche minuto in silenzio, mi giro verso i mie compagni di avventura e grido a squarciagola “Cumbre”, un urlo di gioia esplode anche dal basso, recupero i miei due amici, ci siamo riusciti, ci abbracciamo, prendiam ora coscienza di aver realizzato davvero un sogno che inseguivamo da un anno. Da lì una breve cresta in discesa, le doppie la pietraia per il rientro e finalmente le tende, l’acqua ed il meritato riposo....possiamo finalmente fare i turisti.